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Sabato 13 - Cleopatràs con Arianna Scommegna

Sabato 13 febbraio 2010, ore 21.00

presso Spazio ISV

Via Einaudi, 23- fraz. Rotta-Travacò Siccomario

con immenso piacere ISV torna ad ospitare sul suo palco Arianna Scommegna con


Cleopatràs
di Giovanni Testori
regia di Gigi Dall’Aglio
con Arianna Scommegna
al violoncello Chiara Torselli


...dell’immana che fui io me Cleopatràs,
qui, in del magno teatro
e in sulla terra intrega,
cosa de mai ce resteràs?
Nigotta?
Nigottàs?


PRENOTAZIONE CONSIGLIATA!
Ingresso intero Euro 10.00, ridotto di legge Euro 8.00
PER INFO E PRENOTAZIONI: 339.5373945



E' questo il primo lavoro di una trilogia, intitolata “Anima mia”, pubblicata postuma nel 1994 che affronta i tre lamenti di morte di Cleopatra, di Erodiade (Erodiàs) e della Madonna (Mater Strangosciàs) rivolti ai loro rispettivi amati.

“Cleopatràs” in particolare racconta il rimpianto della protagonista per il passato vitale e pieno ormai irrimediabilmente perduto. Di fronte alla morte, ciò a cui pensa ossessivamente sono i beni più conreti della sua vita andata, ciò che ha posseduto in quell’Egitto che era suo e che nella lettura di Testori diventa uno spicchio di Lombardia.

Uno spettacolo da non perdere.


Cleopatràs appare.

Arriva violenta e potente come uno schiaffo il suono/ parola, quell’ossessiva, insistita desinenza in – as. Tutta quella materia urtante investe gli spettatori riuniti nel cortile interno di Villa Gola, sin dal primo momento, sin da quando Arianna Scommegna (Cleopatràs), candidamente e sacralmente vestita di bianco, si siede sul povero trono.

Piedi nudi e gambe allargate, una postura dissacrante che riecheggia tante figure femminili del Caravaggio. Cleopatràs dà inizio al compianto: getta fuori parola che è grumo, suono, urlo, mentre abbraccia un feticcio fantoccio, una maschera che tanto rimanda all’arte di Enrico Baj.

Il pianto funebre, la solitudine dell’eloquio diventa urlo d’amore veemente, commosso e sconsolato. Una conversazione con la morte dell'uomo amato che simultaneamente si fa anche pianto sulla propria morte, vicina ad accadere. Ma nella forma, questo destino diventa rigurgito di vita.

Impegna tutta la capacità attoriale il monologo liberatorio di Cleopatràs perché la parola è viscerale come la lingua spezzata, blasfema, a singhiozzo, impasto di arcaismi, frammista di latino e di dialetti lombardi, forestierismi, dal francese e dallo spagnolo, di parole conosciute o puramente inventate. Impasto di grammatica e ritmo, prosa e rima e citazioni. Fonemi stridenti, acuti, grevi, alternati a canto e al lamento.

L’interlocutore, semmai, è il suono del violoncello, che dialoga con la solitudine della regina.

Improvvisi scarti muovono l’umore scenico e il corpo si fa carne in moto, si esprime a strappi, a urla, a sgorghi, a svuotamenti. Brava Arianna Scommegna a raggrumare suono/parola fino a renderla un’unica sostanza.

Interessante l’idea di restituire il corpo come geografia di luoghi, della memoria, del vissuto, il Regno d’Egitto nella riscrittura testoriana diventa Lombardia tra i due rami del Lago di Como, e così la Cleopatràs Arianna Scommegna intinge le mani nell’impasto di colore primario, e protendendo il ventre in avanti dipinge il proprio vestimento/corpo come un artista della “action painting”, laddove l'opera che ne risulta enfatizza l'atto fisico della pittura stessa.

E ancora alla pittura rimanda l’immagine del Cristo in Croce, così come il seno ricercato ed esposto al “serpentello”, foriero di morte, che ancora appartiene a figure caravaggesche.

Un impasto di colori, di materia del suono lavorata sino allo sfinimento, ma anche di assenza, di nichil, di nient e, che finisce nel ventre, luogo di tutte le domande.

Bravi
Molti gli applausi, più volte ripetuti ad ogni richiamo in scena.

Rosanna Ratti

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